L’Unesco apre le porte della world digital library per intraprendere la ricerca dell’eunomia
Non ci si pensa. Si entra in un museo, si entra in una città, e il nesso fra cio’ che si vede e cio’ che si farà non salta agli occhi di primo acchito. Eppure questo tempo sospeso fra l’urgenza del presente e un ponte da costruire, fra passato e futuro, ci offre una opportunità. La biblioteca digitale mondiale dell’Unesco è uno di quei fatti – un fatto istituzionale – di cui si dovrebbe parlare molto. Non perché si tratti di una biblioteca, anche se in realtà la opportunità stessa di potere navigare fra le trame e le sfumature del sapere che si distende durevole nello spazio e nel tempo sarebbe già un balsamo per le nostre contratte percezioni di cio’ che di ieri ci portiamo nel domani. Nemmeno perché si avvale di un supporto digitale, ve ne sono tanti di contenuti veicolati attraverso la dematerializzazione documentale. Perché questa dovrebbe avere qualcosa di distintivo?
Perché la world digital library è uno specchio delle possibilità a cui nessuno da solo puo’ pensare. Aprite il link alla pagina sulle religioni, e vi troverete la riproduzione digitale di testi sacri, immagini e icone, rappresentazioni di rituali e opere d’arte che fissano una volta per sempre il senso del sacro in una varietà di culture che ci sorprende e ci incanta. E invece passate al link sulla architettura, proiezione dello spazio di un ordine umano che trascende i limiti dell’uomo, perché cerca di gettare un ancora nel futuro, e di volta in volta, epoca dopo epoca, ci parla di una ricerca perenne di un ordine, ovvero di un nuovo ordine che regge nel tempo.
E se poi ci si avventura nelle pagine che riproducono i documenti, i testi, le immagini e le rappresentazioni della pittura, cosi come la troviamo organizzata nei musei e nelle istituzioni d’arte del mondo, allora si scopre che il nostro occhio si allena e al contempo si ritrova nella familiarità – che non necessita di dottrina – con cio’ che ha un senso, che trova un nomos, un ordine senza avere una finalità, ma trasmettendo un significato. Forse gli affreschi non sono stati creati per dirci cio’ che noi oggi vi leggiamo; ma noi vi leggiamo qualcosa, a noi essi parlano. Parlano in formato digitale accessibile, perché questo è cio’ che di straordinario è avvenuto in questo mese tempestato di ardui percorsi per l’umanità, a tutti in tutto il mondo.
Perché parlarne qui ed ora, e perché parlarne con la voce di chi opera in una chiave di studio di ricerca applicata al mondo della giustizia e alla promozione della legalità?
Sono fortemente convinta che la legalità più forte sia radicata nel modo in cui ogni giorno cittadine e cittadini, ma soprattutto i nostri giovani, si cimentano con quella umanissima e delicata attività che è il fare, interpretare e rispettare le regole, fare si che le relazioni fra persone e fra persone e potere, siano ispirate sempre dal primato di norme che mettono la dignità e la pluralità dell’essere umano al centro. Fra legalità ed arte, fra legalità e arti cosi come si dispiegano nei continenti, anche quelli che magari non visiteremo mai, vi è un nesso vitale. Non è l’epiteto “la bellezza salverà il mondo” del conte Myskin.
Forse, ma non è questo il punto. Allenare i nostri occhi a vedere l’ordine, a riconoscerlo anche attraverso segni e grammatiche diverse, perché usate da culture diverse, capire che noi siamo i primi a inverare l’eunomia, l’ordine del vivere civile possibile, sarà nutrito dalla fruizione accessibile a tutti di un patrimonio che è arte e plasticità, arte e creatività, arte e profondità, arte e silenzio. Non sono forse queste le dimensioni di quella legalità che non è scritta nelle leggi ma che esiste nel vivere quotidiano di una società fatta di persone orientate dal primato del diritto?